sabato 22 febbraio 2014

La nostra è una Repubblica Parlamentare (ovvero, lo Stato siamo noi)



Quella italiana è una Repubblica Parlamentare. Sovrano è il popolo che elegge i suoi rappresentanti in Parlamento. Fino alla prima metà degli anni ‘90 le varie maggioranze che sostenevano il governo erano SEMPRE frutto di accordi politici (qualcuno per caso ricorda il "pentapartito" o più indietro il "compromesso storico") successivi alle elezioni. Si votava il partito e in base ai numeri, chi vinceva le elezioni aveva il compito di formare il governo accordandosi con gli altri partiti (ovviamente se hai il 50%+1 puoi anche governare da solo). Una legislatura durava spesso un quinquennio,  assai di frequente si alternavano governi e presidenti del consiglio (ricordate gli andreotti bis, tris etc etc). Le cose, nel bene o nel male, andavano così... Il problema nasce quando si è voluto dare ad una repubblica parlamentare una parvenza esteriore da repubblica "presidenziale" (con l'indicazione prima delle elezioni del nome del presidente del consiglio che però non ha pieni poteri perché l'ultima parola spetta sempre e solo al parlamento) divenendo (attenzione però, sempre e solo a parole) uno strano e particolare ibrido (non siamo per intenderci ne carne ne pesce). Molti ragionando di pancia più che di testa, spesso dimenticano che l'Italia resta una REPUBBLICA PARLAMENTARE... e in una repubblica parlamentare è normale che se ci sono i numeri per dare vita a un governo lo si fa (cit.)...
Il problema è un altro secondo me. Il parlamento rispecchia, per linee generali, la volontà popolare. Il popolo si identifica con personaggi senza etica e morale, che pensano quasi esclusivamente al proprio personale tornaconto e che spesso non hanno capacità e competenze necessarie per amministrare la res pubblica e SCEGLIE (votando, vedi il video... io quello lo voto ché è un paraculo) di farsi rappresentare da suddetti personaggi in parlamento. La colpa di tutto questo è solo nostra, di noi cittadini italiani... perché la bellezza della democrazia è che lo STATO SIAMO NOI…


mercoledì 19 febbraio 2014

Se il Brasile incontra il Giappone... ecco a voi la Temakeria

Se metti insieme la cucina giapponese e quella brasiliana cosa ne vien fuori? Semplice... il Temaki. L’ultima tendenza vuole infatti che il “classico” cono d’alga ripieno di riso e pesce venga gustato con tutta una serie di varianti, il più esotico possibile, purché originarie del brasile. Dove trovare questa prelibatezza? Anche qui la domanda è superflua: nelle Temakerie. Come sempre il tutto ha avuto inizio negli Stati Uniti con la catena di locali cool Sushi Samba che, prima, è sbarcata nel vecchio continente (ha aperto un locale anche a Londra, e pare sia quasi impossibile trovare posto). La diffusione in Europa sta avvenendo a macchia d’olio, e le Temakerie sono sbarcate anche in Italia. Dove? Ma che domande... A Milano, ovvio. Per ora sono soltanto due i locali di cucina nippo-brasiliana, ma almeno un altro paio stanno per aprire i battenti. Finger’s è stato il primo ad apparire nel capoluogo milanese e il successo è stato immediato, diventando in pochissimo tempo uno dei locali più gettonati. Visto il successo immediato è stato subito seguito da Temakinho. Ma, di preciso, cos’è una “temakeria”? Si tratta di un ristorante che unisce la tradizione culinaria giapponese e quella brasiliana (non ci credereste mai, ma in Brasile c’è il nucleo piú importante di giapponesi naturalizzati all’estero, oltre un milione e mezzo). Nel paese sudamericano infatti il sushi e la cucina giapponese hanno avuto negli ultimi anni un impatto “devastante”, conquistando il gusto dei brasiliani. Il temaki è diventato uno dei cibi più richiesti e diffusi, e ovviamente ha subito delle contaminazione con la cucina locale (infinite le varianti con ingredienti tipici del Brasile). L’alga nori, al riso e al pesce fresco si sono fusi con frutta, verdura, salse (piccanti e non) e tanti ingredienti tipici del paese verdeoro. Visto l’incredibile successo, in poco tempo sono nate migliaia di temakerie. Da lì agli Stati Uniti e poi all’Europa il passo è stato breve. E adesso tocca anche all’Italia.
(un mio articolo uscito sul settimanale on line MynapoliWeek)

Impazzano gli all you can eat: come abbuffarsi in tempi di crisi

Pancia piena, cuore felice e tasche... un po’ meno vacanti. Spopolano i menù all you can eat (tradotto letteralmente in tutto ciò che riesci a mangiare), ovvero la possibilità di mangiare, a un menù fisso (il prezzo di solito non va oltre i 20 euro), tutto quello che si riesce. La “moda” è partita dal Giappone dove i sushi restaurant qualche tempo fa hanno lanciato l’idea, seguita da Usa ed Europa, tanto che oggi in ogni città italiana è quasi impossibile non trovare un locale sushi che non comprenda questo particolare tipo di proposta. Anche se è negli Stati Uniti che l’all you can eat è diventato parte delle abitudini alimentari di tantissimi americani. Per fare un esempio, al Dodger Stadium, stadio di baseball di Los Angeles, esiste uno specifico settore per gli appassionati del genere: l’All you can eat pavillion. Con il biglietto per questo settore sono compresi hot dog, bevande, panini e patatine fritte. Tutto no limits.
Anche in Italia la formula all you can eat è arrivata con il dilagare di sushi bar e ristoranti giapponesi, ma è bastato poco che anche altri tipi di locali si “adattassero” alla tendenza. E anche a Napoli sono davvero tante le proposte “no limits”. Tante le pizzerie che a cifre contenute offrono la formula “pizza non stop”, mentre più di un pub si cimenta con gli all you can eat menù di panini. Ultimamente non è raro trovare steak house che propongono grigliate senza fine, e qualche ristorante ha provato con la pasta. E, sempre sulla scia degli Stati Uniti, molti pongono come unica condizione dell’all you can eat (a parte il costo) l’obbligo di non lasciare nulla nel piatto, lanciando così una sorta di sfida al cliente. A prescindere dal cibo e da come questo tipo di menù viene proposto, si tratta senza dubbio un nuovo modo di proporre cibo ai tempi della crisi: costi abbastanza contenuti per il cliente (che alla fine è pure soddisfatto), locale quasi sempre pieno per il ristoratore.

(un mio articolo uscito sul settimanale on line MynapoliWeek)