martedì 17 novembre 2015

La favola delle panchine scomparse



“Chi è stato? Chi è statooo? Chi ha osato fare questooooooooooooooooo?!?!?!”
La città fu svegliata in un’umida mattina di novembre, il dì seguente la festa del santo patrono. Urla disumane (o forse umane, troppo umane) risuonavano nelle semivuote stanze del palazzo reale.
“Chi ha portato via le mie panchine? Chi è stato?” continuava a ripetere la principessa furiosa, con voce grossa tanto da far tremare porte e finestre del palazzo. Nessuno tra i maggiordomi, i faccendieri e i lacché riuscì terrorizzato a proferir parola. Paralizzato anche il ciambellano di corte e gran reggitore dei borghi del contado, subito fuggito nei suoi appartamenti (qualcuno giura con un sorriso sornione sul volto).
“Banditori a me – tuonò la principessa – Che bisogna fare un proclama urgente! I miei sudditi hanno da sapere… Che non si dica che noi si stia a guardare di fronte ad un atto di tale viltà…”. E sbattendo una serie infinita di porte, si ritirò nelle sue stanze.
In fretta e furia, affannatissimi i banditori emanarono il proclama. “Udite, udite. Questa mattina nella pubblica piazza sono state trafugate delle panchine. I responsabili di tale gesto saranno puniti con severità. Non la passeranno liscia. I nostri sorveglianti meccanici hanno visto tutto. La pagheranno cara!”
Pochi istanti dopo, nelle pubbliche piazze, reali e virtuali, non si parlava d’altro. Ai crocicchi delle strade capannelli di sudditi indignati commentavano l’accaduto. “Come è stato possibile? Una vergogna, uno schifo. La nostra città va proprio a rotoli. Ma la principessa li prenderà. Sicuro che li prenderà, gli infami”. La voce correva veloce, con scrivani, cronisti e trovatori che già componevano le loro canzoni, riportate anche fuori città.
Nel frattempo, il capitano della guardia si dava un gran da fare per risolvere in fretta e furia il caso delle panchine scomparse. Come tutti nel palazzo, temeva l’ira funesta della principessa. E proprio il capitano si accorse che, le panchine non erano state rubate, ma, anzi, alcuni operai reali le avevano prelevate per ripararne i danni. Ovviamente la principessa non era stata avvisata.



 “Chi ha osato! - tuonò la principessa -  Chi ha o-sa-toooooo!!!”.
E senza neppure prender fiato strillò “Tagliategli la testa, tagliategli la testa. Guardie, portatemela su un piatto d’argento”, ma così forte che qualcuno racconta si sia udito anche a Londinium, scatenando il panico per le strade. La principessa incazzata nera (che neppure calimero) si aggirava per le varie stanze come un ossessa, al seguito il solito codazzo di lacché e cicisbei che invano, a suon di lusinghe e adulazioni, provavano a mitigarne l’arrabbiatura.
In città, grazie a due attenti cronisti, la voce cominciava a girare. Nelle piazze, reali e virtuali, erano in tanti a ridere e a prendere per i fondelli il governo e il palazzo. Risate e sberleffi in quantità. La principessa, nel frattempo, chiusa nelle sue stanze, leggeva e ascoltava, digrignando i denti per la rabbia.“La pagherà cara quella serpe”, si ripeteva come un mantra. Tra sé e sé pensava: “Questa volta non la passerà liscia. Gli scatenerò contro i miei 2000 armigeri e vedremo come andrà a finire. Provare a rubarmi la mia decorosa polpetta dal mio altrettanto decoroso piatto. Mai, mai, mai. Un affronto del genere a me, che sono la principessa più amata del paese. Pensi al suo piccolo borgo di campagnoli. Nola è mia, mia mia… ahahahahahahaha (tono isterico, quasi folle)”.
Solo in serata veniva svelato ai sudditi l’arcano. Come al solito era il trombettiere di corte a raccontare tutto. Le panchine erano state smontate da operai del piccolo borgo del contado, perché non ancorate bene al suolo e quindi pericolose per i sudditi. Il tutto senza avvisare la prncipessa. Un errore gravissimo quello del gran ciambellano e reggitore del borgo del contado. Intanto la principessa, con l’onnipresente codazzo di lacché e cicisbei si aggirava tra stanze e corridoi del palazzo al grido “Il decoro è mio e lo gestisco io, il decoro è mio e lo gestisco io”, messaggio poi finemente trasmesso in codice dai banditori di corte in risposta alla tante prese in giro dei cittadini…
E il re in tutto questo, vi starete (forse) chiedendo? Il re cercava di metter pace tra la regina e il ciambellano, bestemmiando in aramaico, goto e arabo. Si vocifera che qualcuno lo abbi udito sussurrare “Mamma mia, i ch’ guaio aggiu passato… nun ci ha facc’ cchiùù… Ma questa volta l’imperatore mi sentirà, hai voglia se mi sentirà….”. Nel mentre i ministri assistevano alla diatriba, chi parteggiando per l’una chi per l’altra parte.

FINE PRIMA PARTE (il seguito alla prossima figura di merda)