“Chi è stato? Chi è statooo? Chi ha osato fare
questooooooooooooooooo?!?!?!”
La città fu svegliata in un’umida mattina di novembre, il dì
seguente la festa del santo patrono. Urla disumane (o forse umane, troppo
umane) risuonavano nelle semivuote stanze del palazzo reale.
“Chi ha portato via le mie panchine? Chi è stato?” continuava
a ripetere la principessa furiosa, con voce grossa tanto da far tremare porte e
finestre del palazzo. Nessuno tra i maggiordomi, i faccendieri e i lacché riuscì
terrorizzato a proferir parola. Paralizzato anche il ciambellano di corte e gran
reggitore dei borghi del contado, subito fuggito nei suoi appartamenti
(qualcuno giura con un sorriso sornione sul volto).
“Banditori a me – tuonò la principessa – Che bisogna
fare un proclama urgente! I miei sudditi hanno da sapere… Che non si dica che
noi si stia a guardare di fronte ad un atto di tale viltà…”. E sbattendo una
serie infinita di porte, si ritirò nelle sue stanze.
In fretta e furia, affannatissimi i banditori emanarono il
proclama. “Udite, udite. Questa mattina nella pubblica piazza sono state
trafugate delle panchine. I responsabili di tale gesto saranno puniti con
severità. Non la passeranno liscia. I nostri sorveglianti meccanici hanno visto
tutto. La pagheranno cara!”
Pochi istanti dopo, nelle pubbliche piazze, reali e
virtuali, non si parlava d’altro. Ai crocicchi delle strade capannelli di sudditi
indignati commentavano l’accaduto. “Come è stato possibile? Una vergogna, uno
schifo. La nostra città va proprio a rotoli. Ma la principessa li prenderà. Sicuro che li prenderà, gli infami”. La voce correva veloce, con
scrivani, cronisti e trovatori che già componevano le loro canzoni, riportate anche fuori
città.
Nel frattempo, il capitano della guardia si dava un gran da
fare per risolvere in fretta e furia il caso delle panchine scomparse. Come
tutti nel palazzo, temeva l’ira funesta della principessa. E proprio il capitano si
accorse che, le panchine non erano state rubate, ma, anzi, alcuni operai reali
le avevano prelevate per ripararne i danni. Ovviamente la principessa non era
stata avvisata.
“Chi ha osato! - tuonò
la principessa - Chi ha o-sa-toooooo!!!”.
E senza neppure prender fiato strillò “Tagliategli la testa,
tagliategli la testa. Guardie, portatemela su un piatto d’argento”, ma così
forte che qualcuno racconta si sia udito anche a Londinium, scatenando il panico
per le strade. La principessa incazzata nera (che neppure calimero) si aggirava
per le varie stanze come un ossessa, al seguito il solito codazzo di lacché e
cicisbei che invano, a suon di lusinghe e adulazioni, provavano a mitigarne l’arrabbiatura.
In città, grazie a due attenti cronisti, la voce cominciava
a girare. Nelle piazze, reali e virtuali, erano in tanti a ridere e a prendere
per i fondelli il governo e il palazzo. Risate e sberleffi in quantità. La principessa,
nel frattempo, chiusa nelle sue stanze, leggeva e ascoltava, digrignando i
denti per la rabbia.“La pagherà cara quella serpe”, si
ripeteva come un mantra. Tra sé e sé pensava: “Questa volta non la passerà liscia. Gli scatenerò
contro i miei 2000 armigeri e vedremo come andrà a finire. Provare a rubarmi la mia
decorosa polpetta dal mio altrettanto decoroso piatto. Mai, mai, mai. Un affronto
del genere a me, che sono la principessa più amata del paese. Pensi al suo piccolo borgo di campagnoli. Nola è
mia, mia mia… ahahahahahahaha (tono isterico, quasi folle)”.
Solo in serata veniva svelato ai sudditi l’arcano. Come
al solito era il trombettiere di corte a raccontare tutto. Le panchine erano
state smontate da operai del piccolo borgo del contado, perché non ancorate
bene al suolo e quindi pericolose per i sudditi. Il tutto senza avvisare la prncipessa. Un errore gravissimo quello del gran ciambellano e reggitore del borgo del contado. Intanto la principessa, con l’onnipresente codazzo di lacché e cicisbei
si aggirava tra stanze e corridoi del palazzo al grido “Il decoro è mio e lo
gestisco io, il decoro è mio e lo gestisco io”, messaggio poi finemente
trasmesso in codice dai banditori di corte in risposta alla tante prese in giro
dei cittadini…
E il re in tutto questo, vi starete (forse) chiedendo? Il re
cercava di metter pace tra la regina e il ciambellano, bestemmiando in
aramaico, goto e arabo. Si vocifera che qualcuno lo abbi udito sussurrare “Mamma
mia, i ch’ guaio aggiu passato… nun ci ha facc’ cchiùù… Ma questa volta l’imperatore
mi sentirà, hai voglia se mi sentirà….”. Nel mentre i ministri assistevano alla
diatriba, chi parteggiando per l’una chi per l’altra parte.
FINE PRIMA PARTE (il seguito alla prossima figura di merda)